'riti-
PIERO MARTINETTI
INTRODUZIONE
ALLA
METAFISICA
G 1
346
Volume I. — Parte !•
CAPO I. La metafisica
1. — Una determinazione piena e precisa della funzione che la filosofia esercita nel complesso della vita spirituale e dei suoi rapporti con la religione non è possibile empiricamente ossia per il semplice mezzo della considerazione storica di ciò che è stata ed è nell'evoluzione della cultura umana la filosofia. Le N scienze storiche ci mostrano come nella vita dei popoli si pro- duca ad un dato momento, poste certe condizioni materiali e sociali, la manifestazione di attività spirituali superiori come l'arte, la scienza, la filosofia, la religione; e come esse si trasformino, reagiscano le une sulle altre, subiscano nel corso della loro evo- luzione storica l'azione dei fattori materiali, economici, sociali, che modificano il terreno onde esse sorgono. Ma nè la storia dell'arte ci dice che cosa sia l'arte in sè stessa, nè la storia delle religioni ci rivela la natura della religione: lo stesso è a dirsi ^ della filosofia. L'asserire, per esempio, che l'arte, la religione, la
(i) Per le questioni trattate in questo cap. cfr.: Windelband, Praelu- dien, 1884, 1-53: Was ist Philosophie ?; Ribot, Psych. angl. coni.^, 3-22; Bergmann, Vorles.iib. Mctaph., 1886, 1-42; Ardigò, Il compito della Filo- sofia e la sua perennila, 1886 (in Opp. filos.j IV); Volkelt, Vorirage z. Einf. in d. Philos. d. Gegenwart, 1892; Fouillée, L'avenir de la méta- pkys. fondée sur l'expérience, 1889; Nossig, Ueb. die bestimm. Ursacfie d. Philosophierens, 1895; Paulsen, Einl. i. d. Philos.^, 1-52; Kulpe, £/«/. /« die Phil?, 1-30; WuNDT, Einl. in die Phil., 1901, 1-20.
P. ilAKTiKErn, Jntrodusione aUa Metafisica.
1
filosofia siano semplici fattori dell'evoluzione biologica collettiva non è una teoria scientifica, ma una teoria filosofica: essa ha il suo fondamento in una concezione generale delle cose che, si voglia o non si voglia, è già per sè una metafisica, una filosofia.
Rivolgendo quindi a noi quelle prime e più semplici domande che si presentano spontanee all'inizio della filosofia noi ci po- niamo già di fronte al problema filosofico fondamentale a cui esse dovrebbero servire d'introduzione: chiedendo quale sia il còmpito della filosofia e quali le sue relazioni con le attività spi- rituali affini noi ci proponiamo una serie di problemi la cui so- luzione chiara e completa implica in sè la determinazione defi- nitiva del significato e del valore dell'esistenza. Ciò è quanto accade del resto ogni volta che noi non paghi delle esplicazioni superficiali in cui s'acquietano le menti volgari, tentiamo risalire fino alle cause profonde delle cose: ogni problema particolare ci conduce sempre, se noi non ci arrestiamo a metà cammino, ai problemi generali e supremi della filosofia.
Ma se pure la soluzione d'una semplice questione particolare esige, sotto pena di rimanere incompleta, di essere posta nella sua vera luce come parte integrante di una concezione metafisica perfetta, ciò non implica che il punto di partenza debba esser preso, viore geometrico, nel centro stesso onde la soluzione lo- gicamente discende. Lo spirito umano non procede nella forma- zione delle sue concezioni teoretiche dal centro alla periferia, ma dalla periferia al centro: e la nuova luce che sorge dalla com- binazione dei dati periferici si irradia poi su quei dati stessi che hanno servito come punto di partenza. La chiarezza dell'espo- sizione richiede quindi il sacrificio della perfezione logica: per- fezione che è sempre del resto in qualche modo inconciliabile con l'unità organica della filosofia. Se la filosofia, dice giustamente Schopenhauer (i), fosse un sistema di pensieri così ordinato che ciascuna parte a cominciar dalla base portasse il resto senza es- serne portata, non riuscirebbe difficile imitare nell'esposizione la disposizione naturale delle conoscenze. Ma la filosofia non è un sistema di pensieri ; essa è un pensiero solo e l'ordine delle sue parti è un ordine organico: ogni parte vi sostiene il tutto ed è
(i) Schopenhauer, Die Weìi als Wille und Vorstellung, Vorr. z. e. A.; N. Paralip., § 38.
alla sua volta sostenuta dal tutto. Perciò nessuna di esse è la prima, nessuna è l'ultima: il principio presuppone la fine come questa il principio: il pensiero nel suo complesso deve la sua chiarezza ad ogni singola parte ed ogni parte anche minima non può essere perfettamente intesa senza possedere già una cogni- zione del tutto.
. . . Euvòv òé noi è(JTlV óhttóOev (SpEouai • TÓ9t -fàp iràXiv YEo/iai aOBii;.
(Parm., fr. 3, Diels).
2. — Rinunciando quindi per ora ad ogni più profonda ri- cerca a questo riguardo, noi possiamo prendere le mosse dal concetto che, prescindendo dalle differenze individuali nel deter- minarne in modo preciso e rigoroso l' intimo significato, si ha usualmente della filosofìa. Anche dalla più superficiale conside- razione appare in modo evidente che per filosofìa generalmente s'intende una veduta d'insieme delle cose sistematicamente svolta ed approfondita o, per usare la definizione stessa d'un autore- vole contemporaneo, una sistemazione covipendiosa di tutte le conoscenze particolari diretta a soddisfare le esigenze dell'intel- letto e le aspirazioni dello spirito (]).
La filosofia sta così con l'insieme delle conoscenze individuali del volgare nello stesso rapporto che ogni singola scienza con quelle cognizioni volgari nelle quali ogni individuo riassume il proprio sapere relativo ad un dato campo dell'esperienza. Pren- dendo quindi la parola « filosofia » in un senso alquanto ampio noi potremmo dire che ogni individuo ha la sua filosofia. Ognuno ha una concezione propria del mondo a costituire la quale con- corrono variamente, secondo le circostanze, la tradizione reli- giosa, l'insegnamento, le letture, l'esperienza diretta della vita: ogni vita implica sempre un complesso concatenato di giudizi di valore e perciò un certo piano, una concezione più o meno ampia e profonda della vita, del suo significato e del suo fine, in altre parole una filosofia (2). La più umile come la più alta delle intelligenze, dice E. Renan, ha il suo modo di concepire il mondo: ogni cervello è a suo modo lo specchio pensante del-
(1) WuNDT, Syst. d. Phil?, i.
(2) Seth, a Study 0/ eth. Princ, 1894, 8.
l'universo: ogni essere vivente ha il suo sogno che lo sorregge,
10 eleva e lo consola; questo sogno è la sua filosofia. Se noi ricavassimo da una di queste concezioni umane, qualunque essa sia, le verità più generali sotto forma di concetti astratti, noi avremmo un sistema filosofico (i).
Soltanto nella maggior parte degli uomini questa concezione delle cose rimane una produzione spontanea, quasi inconscia, in balìa del caso e delle circostanze esteriori: nel filosofo è una produzione riflessa, approfondita, rigorosamente unificata. Alle concezioni volgari manca sopratutto la rigida subordinazione del- l'esperienza sotto un principio esplicativo supremo : ciò che le caratterizza di fronte alla filosofia propriamente detta è appunto l'imprecisione e l'incoerenza logica delle idee, la coesistenza nel seno d'una stessa coscienza di principii disparati non collegati da verun rapporto, il pullulare di intime contraddizioni che il pen- siero o ignora o non si cura di conciliare. Quando invece il pensiero imprime all'insieme delle conoscenze individuali un'unità rigorosa e logica sottoponendo a severo controllo i dati dellà sua esperienza e coordinandoli in un sistema di proposizioni astratte, allora abbiamo una filosofia nello stretto senso della parola, ossia una ynetafisica.
3. — Contro questo concetto della filosofia sono state tut- tavia elevate da diverse parti difficoltà notevoli. Tre specialmente, fra le correnti del pensiero moderno, si sono mostrate risoluta- mente ostili alla metafisica di cui esse negano anche la semplice possibilità : queste sono // tiaturalismo dommatico (materialismo),
11 naturalismo scettico (positivismo) ed criticismo.
Noi lascieremo senz'altro da parte il primo perchè le sue aspre censure sono dirette più contro una determinata metafisica che contro la metafisica in generale: anch'esso nonostante le sue vel- leità antimetafisiche è un sistema metafisico e come tale verrà da noi preso in esame più oltre.
Il naturalismo scettico invece sopprime la metafisica negando che possa sussistere accanto alle scienze una disciplina speciale avente per compito di sistematizzare l'esperienza. Ogni sapere non procede esso forse dall'esperienza.'' E la ricerca sperimen-
(i) Schopenhauer, N. Paralip., § 35.
tale della realtà non costituisce forse oggetto delle scienze? Non rimane quindi in nessun modo posto per la filosofia: che, se ha potuto essere un tempo la matrice delle scienze, l'indistinto (per così dire) del pensiero scientifico, non ha più, ora, che le sin- gole scienze se ne sono staccate, alcuna ragione di sussistere. Il principale autore di questa concezione è stato, com'è rtoto, il Comte : « Il carattere fondamentale della filosofia positiva (egli dice) si esplica nel considerare tutti i fenomeni come soggetti a leggi naturali invariabili e nel ritenere che lo scopo di tutti i nostri sforzi consiste nello scoprirle in modo sicuro e nel ridurle al minor numero possibile considerando come assolutamente inammessibile e priva di senso qualsiasi ricerca delle cosidette cause prime e finali » (i). Non si tratta quindi di indagare le cause riposte dei fenomeni,' di ricercare l'origine e il destino degli esseri, questioni inaccessibili ed inutili : ma di analizzare con esattezza le leggi di produzione dei fenomeni studiandone le relazioni invariabili in modo da poterli razionalmente preve- dere ed utilizzare. Così la speculazione teologica che introduce nel mondo cause soprannaturali come la metafisica che sosti- tuisce alle personalità soprannaturali delle astrazioni, dei vani entia rationis non fanno altro, secondo il fondatore del posi- tivismo, che abbandonare il campo dell'esperienza per smarrirsi in vani sogni circa l'essenza delle cose. Ogni ricerca sulla natura intima delle cose, sul grande mistero dell'esistenza universale ò impossibile e vana. La filosofia prima si riduce ad una sintesi delle sei scienze principali nei rapporti del metodo e dei risul- tati (2). Essendo la sociologia la più alta delle scienze, la filosofia coincide così in certo modo con lo spirito sociologico. La scienza filosofica per eccellenza è la sociologia : essa è, dice lo Stein, il nuovo regno delle idee a cui si volgeranno nel secolo testé in-^ cominciato le nuove generazioni filosofiche (3).
Il criticismo, partendo dal principio di Kant che la concezione nostra del mondo è non la rappresentazione più o meno fedele di una realtà esteriore corrispondente, ma il prodotto della com-
(1) Comte, P/n/os. posit,, I, 14. Nello stesso indirizzo ma in senso assai più mitigato, L. de Roberty, L'anciettne et la notiv. pliilos.j 1897.
(2) /*., 24, 32.
(3) L. Stein, Ah der Wende dcs Jahrh,, 1899, 43 ss.
— 6 -
binazione dei dati sensibili con le forme a priori della conoscenza, conduce a conclusioni che oltrepassano anche quelle dei posi-
f\ tivismo. La stessa ricerca scientifica non ci apprende nulla circa la realtà delle cose; la materia, gli atomi, il movimento, in cui molti fra gli scienziati vedono la realtà ultima, non sono che entità fittizie. Il compito della scienza deve limitarsi ad- una descrizione abbreviata dei dati dell'esperienza senza pretendere di insegnarci nulla circa la natura in sè delle cose: ogni tentativo di ricercare nella molteplicità dei fenomeni un'unità obbiettiva è una impresa vana. La sola unità che sia nei fenomeni è quella ch'è data dalle forme soggettive della conoscenza che compenetrano tutta l'espe-
\J rienza. La metafisica è quindi (in questo il criticismo s'accorda perfettamente col positivismo) un' illusione, un romanzo di con- cetti (Windelband). La metafisica, dice il Riebl (i), è semplice- mente una forma antiquata del pensiero scientifico: ad essa è destinata a succedere la scienza. Nell'antichità la filosofia teneva il luogo della scienza; non vi era nessuna scienza accanto o fuori della filosofia. La stessa cosa a cui gli antichi miravano con i loro sistemi filosofici, la conoscenza della natura e dell'uomo, la conoscenza dei moti dei cieli e dei processi della vita, la con- siderazione dei rapporti morali e delle leggi degli istituti sociali è ciò che noi oggi cerchiamo con la scienza positiva. Al posto della filosofia della natura degli antichi è sórta la nostra scienza sperimentale della natura; l'analisi psicologica e l'esplicazione storica dei fenomeni spirituali della vita individuale e collettiva continuano l'opera dell'antica psicologia, morale, politica. Non vi è altro sapere quindi che il sapere scientifico. « Non vi può essere accanto alle scienze della natura alcuna filosofia della natura: le scienze positive della natura e dello spirito sono esse stesse la filosofia della natura e dello spirito ■. La sistematizza- zione e la sintesi delle conoscenze appartengono, non meno che l'analisi, alla scienza; anzi questa elevazione della scienza a filosofia è appunto, secondo il Riehl, il còmpito filosofico dell'età nostra: còmpito già parzialmente iniziato nel corso della filosofia moderna che non è, a partire da Galileo, se non una successiva sostitu- zione della scienza alla metafisica. Ma anche questa sintesi non deve essere intesa altrimenti che nel senso di un semplice rias-
(i) Riehl, D. p/iìlos. Krit., II, 2, 2 ss., 120 ss.
sunto dei principii ultimi delle scienze: perchè ogni riduzione delle conoscenze sotto un principio unico in una concezione fi- losofica è un ritorno all'antica illusione. La filosofia, in 1. s., coin- cide quindi semplicemente con la scienza; in più ristretto senso essa costituisce una scienza accanto alle altre, la scienza della natura umana; che, conforme alla divisione di questa nei suoi due aspetti, teoretico e pratico, si divide in teoria della cono- scenza ed etica (i). Cosi pure secondo il Windelband (2) la fi- losofia è « la scienza critica dei valori universali ». Essa chiede se È possibile la scienza ossia un pensiero cui si possa riferire in modo universale e necessario il valore della verità; essa chiede se vi è una morale ossia un volere ed un agire cui si possa rife- rire in modo universale e necessario il valore della bontà; essa chiede se vi è un'arte ossia un intuire ed un sentire cui si possa riferire in modo universale e necessario il valore della bellezza. Tre sono quindi le discipline filosofiche, la logica, l'etica, l'este- tica; la metafisica è un « Unding >. Secondo il Dòring (3) infine il suo compito è assai più semplice: essa si limita alla deter- minazione dei valori pratici, alla scienza della morale.
4. — La discussione delle premesse gnoseologiche del cri- ticismo non è qui per l'argomento nostro nè opportuna, nè in- dispensabile. Noi non dobbiamo qui ricercare se sia possibile in generale un sapere obbiettivo, ma se (e questo è il punto con- cordemente contestato dal positivismo e dal criticismo) dalle conoscenze scientifiche sia possibile elevarsi ad una sintesi filo- sofica di valore obbiettivo. Ora, posta la validità obbiettiva delle conoscenze particolari, la loro sistemazione in una concezione filosofica s'impone come una necessità inseparabile dalla costitu- zione logica dello spirito umano. Lo stesso movente che sospinge l'uomo all'acquisizione delle conoscenze singole crea l' irresistibile tendenza di ogni intelletto umano ad organizzare il complesso delle sue conoscenze in un'intuizione propria del mondo, a concepire il complesso dell'esistenza secondo certi principii e ad orientare su di essi la propria vita. Questo movente è l'interesse pratico
(1) Ib., II, 2, 1, cap. I e IV.
(2) Windelband, Praeìudien, 26 ss.
(3) Dorino, Philos. Giiterlehrej 1888, 11 ss.
della vita, l'aspirazione indelebile dello spirito umano a concepire ed a realizzare l'esistenza nella sua forma più vera e più alta. Che cosa sono io? Che cosa ò la realtà che mi circonda? Quale è il mio destino? In qual modo io debbo agire? Questi problemi ultimi e fondamentali da cui dipendono le decisioni piìi impor- tanti per la vita umana sono implicitamente contenuti già in ciascuno dei problemi particolari : la soluzione di ciascuno di questi costituisce sempre un'affermazione circa la natura asso- luta della realtà. Nessun pensiero umano è possibile se non in quanto s'inquadra in una concezione metafisica, istintiva o riflessa. Anche il più ingenuo pensiero volgare è sempre, come si è ve- duto, un sistema metafisico in potenza: ogni atto umano 6 sempre l'espressione d'una concezione metafisica, anche se questa non sia formulata in una teoria. Il fatto medesimo di accettare un determi- nato sistema di vita ò un accettare nel fatto una determinata ipo- tesi circa la realtà delle cose e circa il valore della vita umana: ipotesi che per quanto semplice ed ingenua non cessa perciò di essere in alto grado metafisica. Gli uomini, dice a ragione il Payot (i), sono più metafisici di quello che pensino: soltanto sono tali senza saperlo. Alla metafisica riflessa precede una metafisica naturale in cui si inquadrano e da cui traggono origine i con- cetti di unità, sostanza, causa, moto, spazio, materia; concetti che la scienza impiega continuamente senza esitare, non ostante che ciascuno di essi implichi una folla di gravissimi asserti metafi- sici. Lo stesso pensiero scientifico riposa quindi, sebbene incon- sciamente, su presupposti metafisici. Certo l' ignoranza voluta del maggior numero degli scienziati circa i fondamenti metafisici del loro pensiero poco o nulla detrae alla loro opera scientifica. E possibile seguire con la maggior finezza una serie di nessi cau- sali senza avere nessuna nozione precisa di ciò che si intende per causa: è possibile divinare genialmente le leggi più recon- dite senza nemmeno sospettare il grave problema del rapporto tra i fatti e le leggi. Ma ciò che assolutamente si richiede è l'at- tribuzione d'un valore qualsiasi a questi concetti nel loro rap- porto con la realtà; tolto il quale, è tolto alla ricerca scientifica ogni significato ed ogni interesse. Gli scienziati antimetafisici sono perciò in una grande illusione quando credono di essere asso-
(i) Payot, L'éduc. de la volonté, 105.
lutamente puri da ogni metafisica : essi respingono semplicemente ' la metafisica riflessa per rimanere nell'imprecisione della meta- fisica volgare. Onde in fine questo pretendere di sottrarre questi concetti all' indagine filosofica, questo continuare ad assumere nel loro valore tradizionale come assolutamente certi e reali dei rap- porti che non sono se non elementi esplicativi ipotetici con cui r intelletto volgare comprende l'esperienza, viene ad essere opera altamente antiscientifica: il vero rigore scientifico è in questo caso non dalla parte dello scienziato, ma del metafisico.
A maggior ragione ha un valore metafisico anche la negazione riflessa delia possibilità d' una sintesi metafisica. L'affermazione che la conoscenza metafisica delle cose sia impossibile è una contraddizione in quanto essa affermando l'inconoscibilità della realtà ultima attribuisce almeno a sè medesima un valore meta- fisico: dato che il pensiero fosse irremissibilmente costretto nei suoi sforzi ad arrestarsi dinanzi ad antinomie insolubili, questa contraddizione sarebbe essa stessa la verità e la realtà suprema.
Non è meraviglia quindi se nessuno dei sistemi piij risoluta- mente antimetafisici sfugge a questa necessità impreteribile del pensiero umano (i). In Kant e nei suoi seguaci non è difficile riconoscere una metafisica fondata sulla morale: nel Lange e nel Vehl una metafisica naturalista ingegnosamente conciliata col cri- tMismo. Lo stesso concetto del Windelband (2) che definisce la filoiipfia come la scienza della coscienza normale rispetto ai va- lori Sei vero, del bello e del buono, è assai meno antimetafisico di quello che a lui sembri: l'identificazione della coscienza nor- male conj'essere ideale, l'essere vero, l'SvTujq òv, la cosa in sè (3), non contiene in germe tutto un sistema metafisico.'' Nel Comte poi il carattère metafisico del pensiero è tanto spiccato che ha potuto diventare la base d'un vero sistema religioso. Ed anche i moderni positivisti che ostentano il piii disdegnoso disprezzo per ogni tentativo^ di speculazione che esca dall'orbita delle mi- crologie psicologiche e sociologiche, sono a dispetto loro dei me- tafisici: con l'unica \differenza che, in luogo di disputare sulle
(1) VoLKELT, Vortrage a. Einf. in die Phil. d. Geg., 77; Chiappelli, La funzione presente della filosófia critica, in Riv. filos., 1899, 1.
(2) Praeliidien, 45.
(3) Ib., 321.
— IO —
ecceità e sulle quiddità, ragionano di atomi, di movimenti e di forze ed impiegano il linguaggio della scienza più recente.
Nessun positivismo riterrà quindi mai l'uomo dal proporre al- l'intelligenza propria quei problemi che sono stati in ogni tempo gli oggetti fondamentali della metafisica. • È inutile, dice Kant, affettare indifferenza rispetto a quelle ricerche il cui oggetto non può essere indifferente alla natura umana. Anche i pretesi indif- ferentisti, per quanto si studiino, col mutare il linguaggio delle scuole in un linguaggio popolare, di rendersi irreconoscibili, rica- dono, non appena esprimono qualche pensiero, in quelle affer- mazioni metafìsiche contro le quali mostrano tanto disprezzo ». Gli stessi avversarii più dichiarati della filosofìa non s'astengono, come si è veduto, dal sottoporre il materiale scientifico di cui dispongono ad un'unificazione filosofica. Ma, nota acutamente il Kònig ( I ), con questa differenza : che, essendo il fondamento scien- tifico della loro filosofia dato in ^prevalenza da una scienza o da un gruppo di scienze particolari, ne risulta una concezione filo- sofica necessariamente unilaterale ed insufficiente. È così per esempio che il moderno naturalismo evoluzionistico ha il suo fondamento sovratutto nel fiorire degli studii biologici: i concetti di evoluzione, di differenziazione, di adattamento e simili sono vere categorie biologiche elevale a principi! supremi, a strumento d'un'esplicazione filosofica delle cose. Comunque sia nondimeno del valore di questo o di altri principii esplicativi, questo ò per noi l'essenziale: che anche in questi casi si tratta, non di una so.stituzione della scienza alla filosofia, ma semplicemente della sostituzione a principii filosofici ritenuti insufficienti di altri prin- cipi! tolti, secondo le esigenze del sapere e le tendenze del tempo, all'uno od all'altro campo delle scienze particolari. II rispondere o non alle questioni supreme che si designano col nome di filo- sofia non è quindi cosa che sia posta nell'arbitrio nostro. La questione non è se noi dobbiamo, o non, proporci questi pro- blemi : ma se noi dobbiamo lasciare, come nei più degli uomini, la soluzione al caso o far convergere su di esso, come sul più alto e più importante dei problemi, tutta l'attenzione e lo sforzo del nostro pensiero (2).
(1) Kojs'ig, IV. Wiiudt, 1901, 12.
(2) Paulsen, EìhI. i. ci. PhiL, 3, 43.
5. — Ora le scienze sia isolatamente, sia nel loro complesso non soddisfanno a questa esigenza dello spirito: esse non pos- sono senza snaturare sè stesse usurpare la trattazione dei pro- blemi metafisici. Che questa unificazione suprema non competa a nessuna delle scienze singole, ma debba essere oggetto d'una disciplina speciale, risulta chiaramente dal carattere particolare delle singole scienze per cui esse si distinguono recisamente dalia metafisica. Lo zoologo, il fisico, lo psicologo cessano di essere semplicemente scienziati dal momento che essi col sussidio di dati e principi! tolti ad altre scienze si applicano alla soluzione di problemi che trascendono l'orizzonte della loro speciale disci- plina. Tali problemi saranno tanto meglio agitati e ri.soIti quanto più saranno abbondanti i dati e quanto piìi ampio sarà il campo dell'esperienza da essi abbracciato; la lóro soluzione non spetta quindi mai allo scienziato come tale, il cui orizzonte è sempre forzatamente limitato ad un campo speciale di ricerche. 1/ in- conveniente che risulta da un'elaborazione unilaterale del pro- blema metafisico ha un luminoso esempio nella metafisica evo- luzionista sòrta sotto gli auspicii e il predominio quasi esclusivo delle ricerche biologiche. L'armonizzazione imparziale, uguale di tutti i dati dell'esperienza è un còmpito spettante esclusivamente alia metafisica che in esso appunto ha la sua ragion d'essere come disciplina distinta.
Per la stessa ragione anche l' insieme di tutte le scienze non sostituisce nò sostituirà mai la metafisica (i). Le verità supreme delle singole scienze non sono tali che basti metterle le une ac- canto alle altre perchè ne risulti un sistema intelligibile. Il mondo non è punto un conglomerato di parti eterogenee, una somma di realtà diverse isolate fra loro: esso è un tutto penetrato da un'unità profonda, in cui le diverse parti considerate dalle sin- gole scienze non sono che astrazioni, frammenti artificialmente isolati da una realtà unica in sè stessa. Nessuna scienza può renderci quest'unità dissimulata nella varietà infinita delle appa- renze sensibili : e quando lo facesse non sarebbe piij una scienza, ma una filosofia. Lungi perciò dall'essere un'astrazione artificiale dai dati delle scienze, la filosofia è la sintesi che sola può porre
(i) WuNDT, System^, 15 ss.; Schopenhauer, Die Welt a. W. u. V., I, § 12, II, 206 ss. (ed. Reclam).
questi nella loro vera luce; essa ristabilisce quella vera imma- gine del mondo che le scienze nella loro unilateralità necessa- riamente falsano e costituisce lo sforzo più alto del pensiero per comprendere tutto l'essere nella sua universalità e nella sua verità. Se la semplice sovrapposizione delle scienze sembra darci un concetto intelligibile della realtà, ciò è dovuto al fatto che esse sono inconsciamente penetrate da una metafisica primitiva : i con- cetti fondamentali di causa, moto, essere e simili, per cui esse si riattaccano all'organismo complessivo del sapere, costituiscono una specie di sistema, certo non molto coerente, che dà alle scienze singole quell'unità che esse per sè sole non avrebbero. E se nelle loro ulteriori ricerche esse forniscono al pensiero il punto di partenza per la riforma di tali concetti e la loro mi- gliore armonizzazione, questa elaborazione trascende, come si è veduto, la competenza di ogni disciplina particolare.
Per quanto grandi siano i progressi che hanno fatto e potranno ancora fare le scienze, esse non faranno mai altro che rendere il problema metafisico sempre più complesso e profondo. Quanto semplice e comprensibile, dice il Paulsen(i), non era l'universo agli occhi di Aristotele e di S. Tommaso e quali imperscrutabili abissi non ci ha invece rivelato la scienza nelle misteriose pro- fondità dei cieli ! L'organizzazione degli esseri viventi era ancora un meccanismo assai semplice agli occhi di Cartesio; dinanzi a quali meraviglie ed a quali problemi non ci ha condotto la bio- logia moderna! Il perfezionamento delle conoscenze scientifiche contribuisce certo potentemente a riformare ed a rinnovare i si- stemi metafisici : ma quest'opera di purificazione non fa che met- tere in rilievo in modo sempre più chiaro e preciso il problema : la conoscenza perfetta e minuta delle singole cose provoca sempre più imperiosamente l'esplicazione del Tutto che quanto più è conosciuto profondamente per mezzo delle scienze tanto più ci appare misterioso nel suo complesso.
6. — Lo scetticismo relativo ai problemi metafisici sarebbe giustificato unicamente se la metafisica in questa sua unificazione delle conoscenze si valesse di procedimenti diversi da quelli
(i) Paulsen, Ethik\ 354.
- n -
della scienza. È vera quest'accusa ? È vero che la metafisica abbandona il campo dell'esperienza per smarrirsi in astrazioni nebulose ed arbitrarie? Precisiamo anzitutto il concetto di espe- rienza. Se per esperienza, per verità scientifica si dovesse inten- dere unicamente ciò che è oggetto di osservazione • mediata o immediata, la scienza si ridurrebbe ad un puro catalogo di cose e di fatti. Ma ciò che costituisce la scienza non ò tanto l'ele- mento materiale, il materiale greggio delle osservazioni scienti- fiche, quanto l'elemento formale, le leggi, i rapporti, Vunità che I la scienza stabilisce: p. es. nella linguistica la conoscenza delle \ leggi generali della formazione e dell'evoluzione del linguaggio, nelle scienze biologiche la conoscenza del piano di .struttura degli organismi e delle leggi che reggono l'evoluzione della vita e CO.SÌ via (i). Ora questo non è più un dato dell'esperienza im- mediata. Ogni volta che lo scienziato comprende sotto un'idea generale od in una legge una molteplicità di cose e di fatti che presentano una concordanza costante di certi elementi, egli in- troduce un'unità che non è nell'esperienza immediata, egli pone in opera sebbene in campo molto più ristretto quello stesso pro- cedimento che egli rimprovera al metafisico. Ciò tanto è vero v che l'elemento veramente incrollabile nella scienza è costituito unicamente dai dati di osservazione: le classificazioni e le teorie mutano come mutano le ipotesi metafisiche. * La legge indotta, dice-R. Ardigò (2), se non è addirittura in tutto e per tutto un'ipotesi, tanto o quanto ne contiene sempre. Sicché rimane sempre, tanto o poco, riformabile ». Contuttociò nessuno vorrà negare alla scienza il diritto di ridurre ad unità il molteplice: nessuno vorrà negare, p. es., che Newton abbia legittimamente operato col porre la gravitazione universale come principio espli- cativo comune dei moti celesti e dei fenomeni della gravità terrestre. La metafisica non fa che continuare fino al limite estremo questo processo d'unificazione che si incomincia nellat scienza. Il materialista, quando riduce i processi coscienti ad ) attività meccaniche, l'idealista quando riduce i processi esteriori ad attività spirituali d'un ordine inferiore non mirano che a fis- sare nell'unità d'una formula l'unità che l'intuizione loro discopre
(1) Hartmann, Ges. Sludien, 421 ss.
(2) Ardigò, Opere filos., VI, 467.
in fatti apparentemente diversi. Falso è perciò l'asserire che la metafisica imponga all'esperienza un'unità artificiale e precon- cetta. Essa non fa se non ciò che fa la scienza ; sistematizza l'esperienza per comprenderla. L'unica differenza consiste in ciò che nelle singole scienze l'unificazione è forzatamente limitata ad un campo determinato e perciò è un'esplicazione sempre puramente relativa: laddove la metafisica opera o almeno tenta l'unificazione generale del sapere per mezzo della subordinazione di tutti i dati dell'esperienza ad un principio universale e sem- plice che ce ne dia il significato e la ragione. « Il coronamento metafisico dell'esplicazione del mondo (scrive il Sigwarl) (i) è la presupposizione senza di cui non è possibile nel vero e stretto suo senso alcun desiderio del sapere: esso non oltrepassa i dati dell'esperienza altrimenti che non faccia ogni tentativo di com- prendere questi medesimi dati. Quando noi facciamo un ultimo passo verso l'esplicazione suprema del mondo secondo le esigenze del nostro pensiero noi ci fondiamo sullo stesso diritto con cui dalle singole sostanze e dalle loro forze erigiamo un regno in- telligibile come fondamento dei fenomeni, noi obbediamo ad uno stesso impulso che è di collegare la molteplicità dispersa ad unità. Nell'uno come nell'altro caso non è possibile in stretto senso logico una prova, perchè la realtà esterna a noi non può in nessun modo essere provata. La garanzia giace anche qui nella concordanza dei nostri pensieri e nell'adempimento delle esigenze nostre relative alla concepibilità del dato. Ciò che di- stingue la metafisica dalle altre scienze non è il metodo: questo è in ultima analisi assolutamente lo stesso per ogni specie di sapere ; ma è l'universalità del compito e questo suo còmpito è così necessario come quello del sapere in generale ». I principii della filosofia stanno con le verità scientifiche nello stesso rap- porto che ognuna di queste con le pii!i umili verità di fatto. La filosofia è * il prodotto finale di quel processo che comincia con un puro collegamento di asserzioni greggie, continua con l'ela- borazione di proposizioni sempre più ampie e lontane dai fatti particolari e termina in proposizioni universali ». Ossia in breve: la conoscenza d'infimo grado è non unificata, la scienza è una
(l) SlGWART, Logik, II, 6ol.
conoscenza parzialmente unificata, la filosofia è una conoscenza completamente unificata » (l).
E questa unificazione non è soltanto l' introduzione d'una espressione nuova, una pura semplificazione verbale, ma un'espli- cazione, un' itiUrpretasione della realtà.. Come l'introduzione d'un principio esplicativo relativamente ad una data serie di fatti pur essendo il risultato di un'induzione fondata sui medesimi fatti è alcunché di più che il loro semplice insieme, è in certo modo una rivelazione che ce li presenta in una nuova luce, così l'espli- cazione metafisica non solo coordina ma interpreta i fatti, apre il senso ultimo del complesso dell'esperienza. « Nella filosofia (scrive R. Ardigò) (2) si riflettono come in centro comune e vi si intensivano in idee generalissime riassuntive e sintetizzatrici (come i raggi che s'incontrano e si confondono insieme nel centro del cerchio) i fatti particolari, le leggi, le astrazioni proprie delle altre scienze tutte quante. Vi si riflettono e vi si fondono insieme per ritornare ad ognuna attorno trasformate nella lu7ni- nosità prodotta dal cozzo di tutte ». A ragione perciò Schopen- hauer (3) paragona l'esplicazione filosofica della realtà al deci- framento d'una scrittura in cifra. Quando noi ci troviamo in presenza d'uno scritto il cui alfabeto ci è ignoto noi tentiamo successivamente diverse esplicazioni finché giungiamo a quella combinazione che ci dà un senso intelligibile. Allora non ci ri- mane alcun dubbio sulla esattezza della soluzione : perchè non è possibile ammettere che il senso così stabilito nei segni della scrittura sia l'opera d'un puro caso ed abbia potuto venir realiz- zato dando alle lettere un valore diverso da quello che hanno. In modo analogo la filosofia tenta di estendere a tutti i fenomeni un'interpretazione unica, rispandendo su di essi una luce eguale, rivelandone l' intimo senso e l'unità profonda. E questo decifra- mento trova la sua conferma in sè stesso, nell'unità che esso stabilisce tra i fenomeni più diversi; perchè se anche un deci- framento falso potesse convenire a certi fenomeni, esso non mancherebbe poi di trovarsi in aperta contraddizione con gli
(1) Spencer, Primi principii, § 36-38.
(2) Ib., II, 418.
(3) Schopenhauer, Die Welt a. W. u. V., II, 214 ss. ; Par. ti. Par. I, 86.
- i6 - .
altri e finirebbe così, o tosto o tardi, di rendere manifesta la propria insufficienza.
7. — È quindi un semplice pregiudizio l'opinione volgare che considera la metafisica come una costruzione antiscientifica, come un sistema aprioristico di deduzioni arbitrarie. Strano capriccio della storia! Platone ed Aristotele, nota argutamente il Win- delband (i), contrapponevano al loro tempo la loro filosofia come la scienza {i.mGxr\\a\) alla sofistica come alla opinione antiscien- tifica ed arbitraria (òóHaJ ; oggi sono t rinnovatori positivisti e relativisti della sofistica che alla filosofia idealistica contrappon- gono le loro dottrine come « filosofia scientifica ». Ciò che ca- ratterizza secondo essi quest'ultima è lo spirito positivo, speri- mentale, induttivo: la « vecchia metafisica » non ha alcun valore perchè « costituita di argomentazioni deduttive » (2).
Ora bisogna riconoscere che questo preconcetto ha un fonda- mento. E stata un'illusione comune alla maggior parte dei me- tafisici del tempo passato, che l'opera loro consistesse nel de- durre da un dato principio supremo la costruzione e l'esplicazione ' dell'universo. « L'ordine che io ho tenuto in questo (dice Des- cartes nel suo Discorso del metodo) è il seguente: prima io mi sono studiato di trovare in generale i principii ossia le prime cause di tutto ciò che ò o può essere nel mondò senza consi- derare a questo fine che Dio solo che lo ha creato, nè trarli d'altronde che da certe semenze di verità che sono naturalmente nelle anime nostre. In seguito io ho esaminato quali erano i primi e piii ordinari effetti che si potevano dedurre da queste cause e mi sembra che per questo mezzo io ho trovato dei cieli, degli astri, una terra ed anzi sulla terra dell'acqua, del- l'aria, del fuoco, dei minerali ed altre simili cose che sono le più comuni di tutte e le più semplici e per conseguenza le più facili a conoscersi ». Lo stesso concetto della metafisica ebbe Kant che nei Prolegomeni dice: « La fonte della metafisica non può assolutamente essere empirica; i suoi principii ed i suoi concetti fondamentali non debbono essere tolti nè dall'esperienza
(1) WiNDELBAND, PfOel., 5.
(2) Cfr. p. es. Ardigò, Op. fil., VI, 462; Riehl, op. cit., II, 2, 85 ss.
~ 17 —
esterna, nè dall'interna ». Così secondo Fichte la filosofia non deve curarsi per nulla dell'esperienza: essa deve essere vera anche se non vi fosse alcuna esperienza e deve possedere anzi la certezza che tutte le future esperienze si regoleranno secondo !e leggi da essa scoperte. E con la stessa incrollabile fiducia nell'n! priori, con lo stesso spregio verso l'esperienza procedono Schelling ed Hegel nelle loro costruzioni speculative delia natura e della storia. E certo questa metafisica che vuole stabilire per un preteso a priori ciò che in realtà essa ha tolto dalle scienze particolari e guarda dall'alto delle sue costruzioni sublimi le co- noscenze empiriche della scienza, di cui le sue pretese leggi a priori sono un semplice travestimento, merita l'amaro scherno di Mefistofele:
Der Philosoph, der triti herein, Und beweist euch, es mtlsst' so sein.
Ma, affrettiamoci a dirlo, essa non è mai stata altro che un'illu- sione. Anche questi filosofi a priori si sono ingannati circa l'ori- gine delle loro conoscenze: nonostante tutte le apparenze d'una logica rigorosa, essi non hanno in realtà fatto altro che rinser- rare in uno schema deduttivo l'esperienza propria; ogni sistema metafisico, dice il Berthelot (i), qualunque siano le sue pretese, non fa che esprimere più o meno perfettamente la scienza del suo tempo. Descartes ha pensato di dedurre le leggi della na- tura dal principio della perfezione infinita di Dio. Ma quali sono stati i risultati di questa sua deduzione ? Essi sono semplicemente conformi allo stato delie conoscenze positive del suo tempo. Se egli fosse vissuto un secolo prima, egli avrebbe trovato con ri- gore perfetto di deduzione dei risultati assolutamente diversi. E così l'universo costrutto da Hegel a /r/or/ coincide perfettamente con l'universo quale era noto a posteriori secondo le idee scien- tifiche del tempo. Ciò che ha potuto trarre in inganno questi teorici deir« priori è il fatto che, dei due momenti del processo induttivo, il momento della induzione empirica (che consi.ste nel passaggio dalla moltitudine dei dati particolari alle loro unità ideali immediate, alle leggi) e il momento ^aW induzione siste-
(i) In Renan, Dial. philos., 224 ss.
P. Mahtixetti, Introduzione alla Metafisica.
a
_ i8 —
matica (che è il passaggio delle unità ideali inferiori alle supe- riori, l'armonizzamento dei dati mediati in un sistema logico) (i), il secondo è nella filosofia in decisa prevalenza. Nelle scienze più vicine al dato immediato, nelle scienze descrittive l'elemento strettamente empirico ò ancora quasi puro: nelle scienze gene- tiche l'elemento speculativo ha già gran parte come ricerca delle cause e delle leggi : nella filosofia, in cui la funzione dell'acqui- sizione dei dati singoli scompare quasi totalmente di fronte al compito della loro organizzazione logica, esso acquista un'asso- luta prevalenza. La disposizione deduttiva verso cui tende non solo ogni filosofia, ma ogni sistema scientifico (2), non corrisponde quindi all'ordine genetico: questo è invariabilmente induttivo e risale ad un'unica fonte che è l'esperienza.
È un errore perciò il credere che l'adozione del metodo in- 'duttivo nella filosofia sia un trionfo tutto recente del pensiero moderno. Anche gli antichi procedettero dall'esperienza: anche la fisica degli Ionici, p. es., si fonda su dati empirici: soltanto è un'induzione affrettata da poche e malsicure esperienze. La pre- tesa rivoluzione introdotta '^^JHf*^"'^" inHnttivn nnn ^ in realtà che un'applicazione più raffinata e paziente dell'indagine teore- tica, un'acquisizione lenta di nuove abitudini intellettuali che ha avuto per conseguenza un grandissimo sviluppo delle conoscenze particolari ed una corrispondente riforma delle conclusioni me- tafisiche. La scienza e la metafisica moderna si distinguono sem- plicemente dall'antica per la maggior quantità di osservazioni e di esperimenti, per il più rigoroso rispetto dell'esperienza e per la coscienza chiara che, per merito sovratutto della metafisica, la scienza e la metafisica hanno del loro rapporto. Ed ancora le induzioni imperfettissime della antica metafisica e la successiva elaborazione logica dei concetti così ricavati furono assoluta- mente necessarie per condurre l'intelligenza umana a quel grado di sviluppo che solo rese possibile l'attuale progresso del sapere scientifico. Perchè Galileo rivolgesse l'attenzione propria a quel fenomeno semplicissimo che è la caduta dei gravi era necessario un raffinamento dell'indagine scientifica che non sarebbe .stato possibile senza quel lungo periodo di educazione intellettuale
(1) Si cfr. Masci, Log., 1899, 283 ss., 389 ss.
(2) Stuart Mill, Log. (tr. fr.), I, 248 ss.
- 19 -
collettiva che si inizia con la filosofia greca e si svolge attiva- mente anche durante la scolastica.
Il metodo vero della metafisica consiste quindi nel fare con A piena coscienza ciò che hanno fatto più o meno coscientemente i filosofi di ogni tempo: nel costrurre l'esplicazione del mondo partendo dai dati positivi Jel la scienza. Ed in questo appunto si v distingue, secondo il Wundt, la metafisica scientifica dalla non scientifica: che questa pone e risolve i problemi filosofici senza una cognizione sufficiente (ben s'intende, relativamente al tempo) dei dati di fatto che ne costituiscono il fondamento : quella in- vece tiene diligentemente conto dei risultati delle scienze e pone l'opera propria come una sempHce continuazione di quella da esse iniziata, guardandosi dal contraddire ad alcuno di essi in base a considerazioni aprioristiche.
Non è del resto da oggi soltanto che la metafisica stessa pro- clama tale necessità; Schopenhauer, un metafisico per eccellenza, insiste a lungo sul principio che unico fondamento della filosofia è l'esperienza : « Ogni filosofia che invece di partire da questa prende come punto di partenza astrazioni arbitrane come p. es. i concetti di assoluto, sostanza assoluta, Dio, infinito, finito, iden- tità assoluta, essere, essenza, ecc., si libra nel vuoto e non può
mai condurre ad alcun risultato reale I concetti sono certo il
materiale della filosofia, ma solo come il marmo è il materiale dello scultore: essa deve lavorare non da essi ma con essi, cioè fissare in essi i suoi risultati, non partire da essi come dal ^uo dato - Ili,
E d'altra parte è giusto far notare che per essere apriufisti non occorre punto professare la teoria dell'apriorismo metafisico : si può essere aprioristi, anche militando nella cosidetta filosofia scientifica, tutte le volte che per amore d una teoria preconcetta si chiudono gli occhi alle esperienze in contrario, si erigono le ipotesi a dogmi e si rigetta con disdegno tutto ciò che non quadra col proprio sistema. Bùchner ed Ilaeckel sono qualche volta più aprioristi dei metafisici da essi cotanto disprezzati.
8. — Il principale argomento che in ogni tempo ha confermato la prevenzione quasi universale contro la metafisica è l'apparente
(i) Schopenhauer, Die Welt a. W. u. V., 1,546-547; II, 95-105, 208-211 (ed. Reclam).
— 20 —
sua variahilii-à Hi fronte alla stabilità della scienza, il succedersi di sistemi a sistemi, la contraddizione quasi perpetua dei suoi seguaci fra di loro. O Metafisica! esclama Voltaire: noi siamo così avanti come al tempo dei primi Druidi. La storia delia filosofia non è che la storia dei vani tentativi fatti dall'uomo per decifrare il mistero delle cose: il primo ha tanto valore quanto l'ultimo. * Sugli ultimi problemi dell'essere (scrive lo Stein) (i) noi ne sappiamo oggi poco più ed in ogni caso nulla di più sicuro di quello che non sapessero già Democrito, Platone, Ari- stotele. Noi ripetiamo oggi so.stanzialmente nella nostra metafi- sica le stesse questioni sotto veste diversa ». Questa obbiezione sembra veramente decisiva: ed è certo l'obbiezione più frequente che, non senza una punta di derisione, si sente muovere dai volgari contro la filosofia.
]\Ia essa procede in realtà da una considerazione assai super- ficiale delle cose. Non solo le ipotesi filosofiche, ma anche le teorie scientifiche sono, sebbene in grado minore, varie e mu- tevoli. Anche nelle scienze l'elemento veramente costante ed im- mutabile è costituito unicamente dai dati di osservazione. E questa stessa invariabilità, possiamo premetterlo fin d'ora, non è nè originaria, nè assoluta. Le percezioni sensibili sono rispetto a noi dati costanti perchè sono il risultato normale di processi associativi, di processi logici inconsci, come l'Helmholtz li chiama, che si sono meccanizzati di fronte alle attività sintetizzatrici su- periori in cui consiste il pensiero scientifico. Ma, anche facendo astrazione da ciò, essi non costituiscono punto ancora, come si è veduto, la scienza. La scienza non comincia che con l'inter- pretazione dei dati , con le induzioni, con le teorie. Ora è un fatto che, quanto più noi ci eleviamo nel regno delle sintesi coscienti in cui ferve l'attività novatrice e formatrice del pen- siero, tanto maggiore diviene il numero delle sintesi contempo- raneamente possibili rispetto a quel medesimo complesso di dati su cui esse si costituiscono: e solo per il lavorìo continuo del pensiero collettivo quelle di esse che sono veramente vitali pas- sano lentissimamente a far parte del dato immutabile che è il fondamento sicuro d'ogni progresso ulteriore. L'elemento varia- bile comincia quindi con te stesse teorie della scienza: ciascuna
(i) L. Stein, An der Wende d. Jahrh., 1899, ^7 ss.
delle quali infatti si è rinnovata pii^i volte ed è tuttora in un rinnovamento continuo. Chi oserebbe tuttavia per questo riget- tare ogni esplicazione scientifica? La filosofia sta, per questo riguardo, con le sintesi immediate delle scienze nello stesso rap- porto in cui ognuna di queste sta coi rispettivi dati. Ciascun sistema realizza perciò, avuto riguardo ai dati su cui si fonda, la più alta sintesi possibile : la successione dei sistemi attua un progresso reale e costante nella verità.
E pertanto un errore grossolano il considerare i singoli sistemi come capricciose costruzioni individuali di cui nulla rimane poiché sono passate. La varia estensione e la varia natura dell'espe^ rienza, onde procede, conferiscono, è vero, ad ogni sistema un aspetto proprio e lo inclinano quasi sempre a mettere in rilievo un lato solo delle cose: ma questa unilateralità procede dal di- fetto dell'esperienza, non dalla sintesi che ne è l'interpretazione. Tra questi elementi dell'esperienza che più variano da individuo ad individuo bisogna riferire anche i dati dell'esperienza perso- nale interiore, le disposizioni affettive dalla cui coefficienza ap- punto nelle sintesi